domenica 12 marzo 2017

LOTTO MARZO

LOTTO MARZO
Ancora sulla Festa della Donna.
Non mi definisco (più?) “femminista”, ma per qualche giorno sì, lo sono stata, e ho partecipato allo sciopero. E’ andata così: mi sono ritrovata molto arrabbiata, forse per la losca vicenda dei ginecologi obiettori, e ho scoperto che il mondo intero lo era! E per chi sa quanti altri turpissimi motivi, oltre al primo fra tutti: il persistere/prosperare della violenza maschile. Tanto arrabbiati da proporre uno sciopero mondiale. Ovviamente molto criticato, in virtù di quegli argomenti già triti se li si riserva alle manifestazioni storiche operaie, figuriamoci per un tale evento  globale (gli scioperi sono inutili, … sono fatti in nome della libertà e intanto limitano la libertà di chi li subisce …..) E, da non credere, sul Corriere della Sera, per tali argomenti si sono scomodate (uniche voci femminili) Valeria Fedeli, neoministra “dalla terza media” e Paola Binetti, integralista cattolica. Anzi, clericale.
Ok, lascio perdere: qui si scivola nella politica e la politica divide. Volevo solo dire che mi si è riproposto in tutta la sua importanza il problema della vita delle donne, delle differenze di genere, del senso del “femminile”…… Aiuto!

Non mancherà il tempo per sostare anche in questo, di giardino, ma un primo, impetuoso, stimolo mi ha inaspettatamente emozionato: sono questi due articoli dal sito di D. La Repubblica che solo qualche tempo fa davvero non avrei trovato interessanti …. Li propongo.


Grande sorella
Le religiose cattoliche vogliono cambiare la Chiesa e il mondo. Poche, ma istruite e smart, si addestrano a sfidare la globalizzazione ingiusta e la gerarchia patriarcale. Passa da loro il femminismo più visionario?
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DI ELISABETTA MURITTI E GLORIA RIVA, FOTO DI IBOLYA FEHER
Sono poche le cose che un pontefice non sa, recita un detto vaticano. Quanti soldi hanno i salesiani. Quante persone lavorano in Vaticano (dipende). Che cosa pensa un gesuita. Quanti tipi di suore ci sono. All’ultimo quesito in effetti è difficile rispondere. Anche se qualche numero oggi c’è. Nel mondo le monache cattoliche di clausura, “censite” dalla nuova Costituzione Apostolica, sono 44mila in 4mila monasteri: dal 2000 al 2014 le professe solenni (voti definitivi) degli antichi ordini religiosi, come benedettine e clarisse, sono passate da 48.834 a 38.773, mentre le professe semplici delle congregazioni religiose di più recente istituzione, da 3.819 a 2.817; le novizie, da 2.426 a 1.758. Le suore professe sono, per l’Annuarium Statisticum Ecclesiae 2014, 682.729 (-10,2% dal 2005). Le religiose italiane sono diminuite, dal 2002 al 2012, da 108.175 a 86.431; la loro età media va verso il 46% di ultrasettantenni.  Tra invecchiamento demografico, debolezza delle vocazioni, ampia gamma di possibili realizzazioni personali, nubilato appagante e scarso appeal delle gerarchie ecclesiastiche, i dati si spiegano da soli. Però oscurano un piccolo sommovimento nelle coscienze. Essere suora, oggi, sta diventando una scelta speciale. Per niente anacronistica. Rivoluzionaria. Elitaria. Orgogliosamente minoritaria: meglio poche ma buone, raccomanda papa Francesco, contrario al proselitismo ansioso, alla “caccia alla novizia” nei paesi poveri, al marketing conventuale online, allo sfruttamento di manodopera femminile gratuita. Di più: meglio poche ma buone, istruite, toste e specializzate. Detto questo, ecco che i numeri, pur piccoli, diventano preziosi. Nell’anglicana Gran Bretagna stanno pian piano crescendo gli ingressi negli ordini cattolici. Spesso si tratta di trentenni laureate in conflitto con una società tecnologica, sessualizzata e arida, che in convento entrano solo di sera, dopo aver lavorato. I titoli di studio sfoggiati dalle contemplative del monastero domenicano di Our Lady of the Rosary, nel New Jersey, hanno incuriosito il New York Times. «Oggi il cattolicesimo è cool», dice Shanna Johnson, studentessa di Giornalismo di Chicago, che da ragazza è stata buddhista. Dell’affermazione clamorosa non si stupisce l’italiana Lucetta Scaraffia, storica, autrice del saggio Dall’ultimo banco. La Chiesa, le donne, il sinodo (Marsilio), di successo pure in Spagna, Francia e, sì, negli Usa, nonché direttore di Donne Chiesa Mondo, mensile femminile allegato all’Osservatore Romano (ugualmente tradotto, e diffuso/rilanciato online, in tre lingue). Ma contestualizza con ironia: «Forse è l’attrazione per l’esotico tipica del mondo protestante. Si sa, noi cattolici abbiamo sempre qualche zia suora in famiglia... O è il nuovo bisogno di regole severe, antiche». Avere studiato dalle suore cattoliche aiuta le ragazze «a focalizzarsi, a cercare buoni mentori e sponsor, a intuire il talento tenendo a bada le aspettative troppo elevate e l’ego, insomma, a eccellere nel lavoro», aggiunge poi l’americana Jo Piazza, editorialista per Forbes e Wall Street Journal, autrice del bestseller If Nuns Ruled the World (“Se le suore governassero il mondo”), che ha fatto sperare nell’ennesima eroina salva-umanità: La Supersuora). Scaraffia è più concreta: «Le suore stanno risolvendo il vero problema di oggi. Che non è la secolarizzazione, ma l’impegno poco “resistente” delle nuove generazioni, adatte alla vita estrema e all’adrenalina più che alla testimonianza durevole nelle zone calde del pianeta e della modernità». Aggiunge: «Suor Eugenia Bonetti, 78enne, zoppa, 24 anni in Africa, esperta di trafficking sessuale e fondatrice dell’associazione Slaves No More, vive a Roma e passa la notte sulla Salaria a parlare e pregare con le prostitute keniote, a sfidare i magnaccia con più coraggio di un poliziotto, ad accusare i “nostri” maschi, preti compresi, di approfittare delle nuove schiavitù. Contro cui occorre una missione globale». E cita anche le religiose congolesi che spiegano all’Occidente che cos’è veramente lo stupro di guerra (disgrega una comunità per occuparne i terreni ricchi di minerali, utili alla fabbricazione di computer), e quelle pakistane che aiutano le ragazze indù e cristiane a scappare dai musulmani che le hanno rapite. Oggi accettare una missione globale contempla la ricerca di nuovi criteri di equità. Lo sa Alessandra Smerilli: c’è chi la chiama “professoressa”, chi “Suor” e chi “Suor-professoressa”, che suona buffo. E lei, che effettivamente è sia un’economista sia una salesiana, ride e poi riflette: «Abbiamo perso contatto con la storia dell’Europa, fatta di medici, professori e artisti che erano anche religiosi. Oggi la nostra società, spiritualmente impoverita, fatica a capire il significato civile di frati e suore: perché la charis (il dono gratuito dei religiosi) è faccenda eminentemente civile». È un pensiero fine quello di Alessandra: nata a Chieti 43 anni fa e che fin dai tempi del liceo scientifico sapeva che da grande avrebbe indossato il velo. «Mi vedevo nelle periferie o in una comunità di giovani. Invece una superiora mi disse che l’economia sarebbe diventata il centro del mondo». Era il 1996 e la Madre Superiora ci aveva visto giusto. Alessandra, che stava studiando il voto d’obbedienza, a malincuore ha detto sì. Poi sono arrivati i primi 30 e lode e ci ha preso gusto: nel 2006 un dottorato di ricerca alla Sapienza di Roma, nel 2014 un PhD all’East Anglia, Inghilterra. Oggi insegna alla Pontificia Università di Scienze dell’educazione Auxilium, alla Lumsa di Roma e alla Cattolica di Milano. Ed è membro del comitato di Banca Etica. «Mi occupo di We Rationality, “razionalità del noi”, di comportamenti cooperativi in economia. L’imprenditore non è chi genera ricchezza, ma chi ha un progetto e s’impegna a portarlo a termine. Tutt’altra questione è l’idolatria del profitto». Il nesso fra religiosità ed economia? «Papa Francesco ha detto che il mondo sta cambiando, e che dobbiamo restare fedeli a noi stessi cambiando insieme a lui. Un tempo la vita consacrata era percepita per i servizi che offriva, dalle scuole agli ospedali. Oggi non è più così, non è un compito da svolgere, è il dono di occhi che vedono cose belle dove altri vedono solo un problema. Per scorgere il nuovo, dove altri neppure s’interrogano». Luca Diotallevi, docente di Sociologia e direttore del master in Scienze della cultura e della religione (Università Roma Tre), conferma il cauto, singolare “risveglio”: «Si sommano tre piccoli trend: la gravissima crisi degli ordini di vita attiva (quelli che si occupano di malati, poveri, scolari, come prima rimarcava Suor Alessandra, ndr), che non sono più fonte di emancipazione, anzi, sopportano a fatica la gerarchia ecclesiastica; un inedito, modesto ma significativo interesse per la religiosità; una piccola ripresa della vita claustrale. Osservazioni che non servono a calcolare numericamente un fenomeno, ma a sottolineare la vitalità delle fondazioni diocesane post Concilio Vaticano II e l’attenzione della Chiesa verso una trasformazione sociale. Che stavolta è fatta di scelte fortemente intenzionali e individuali, di donne libere, dotate di ottimi titoli di studio». Continua Diotallevi: «Il cambiamento non sta tanto nell’elezione di Francesco quanto nella rinuncia di Benedetto XVI. Che va letta come la fine della cristianità del ventesimo secolo. Siamo nella trasformazione globale, e anche il cristianesimo si riforma, attingendo alla libertà delle donne e contribuendo alla crisi del maschilismo. Le vocazioni femminili non obbediscono più a convenienze sociali e psicologiche, ma esprimono pensieri avanzati».
Per esempio, su famiglia e sessualità suore e monache reclamano un punto di vista che va ascoltato. Scuote la testa Scaraffia: «Rischiano di continuare a fare le serve ai preti, sono spesso trattate da sceme. Sono stufe. Resto però contraria al sacerdozio femminile, e anche al diaconato, perché diaconesse, e dunque collaboratrici apostoliche, suore e monache lo sono da sempre nell’esercizio della loro missione. Mi piace la loro libertà, senza corso di studi e patentini. Mi piace pure la loro rabbia: il sacerdozio non c’entra, semmai c’è una forte antipatia per il clero. Loro, dei preti non si fidano».
«Una generazione moderna di cattolici deve saper costruire qualcosa di nuovo: e la prospettiva dell’ordinazione femminile è invece organica al vecchio mondo clericale che sta finendo. Il sacerdozio è servizio, non è potere», precisa Diotallevi. Già, ma a Teresa Forcades (vedi intervista), benedettina barcellonese autrice di libri rumorosi (Siamo tutti diversi! Per una teologia queer, Castelvecchi), laureata in Teologia e Medicina e dispensata dal convento per la causa catalana, tutto ciò non basterebbe: suor Teresa è favorevole al sacerdozio delle donne, al matrimonio omosessuale e all’identità “viaggiante” di ciascuno di noi... Come forse non basterebbe alle suore Usa, censurate qualche anno fa dal Vaticano per le posizioni poco ortodosse in fatto di femminismo e uguaglianza sociale, ma forse, dicono, anche per l’appoggio all’Obamacare (punto cruciale: prevedeva accessi più facili alla contraccezione). Le sorelle a stelle e strisce sono state poi “perdonate”. E sulla querelle è stato girato il documentario Radical Grace, prodotto da Susan Sarandon.

BANDO AGLI STEREOTIPI
Suor Alessandra Smerilli, nel libro Suore, tra stereotipi e realtà (ed. Città Nuova), racconta le frasi più “pop” che una religiosa si sente dire. E contrattacca.
 … Non le viene mai voglia di avere un marito, una famiglia? Credo che sia come chiedere a una moglie se non ha mai la tentazione di tradire il marito. Le crisi fanno parte della vita, di ogni tipo di vita. Solo chi non sceglie non può avere tentazione di cambiare percorso. Suora, beata lei, che vive una vita tranquilla, vicino a Dio. Signora, quando dormo per tre giorni di seguito nello stesso posto sono molto felice, perché non mi capita spesso. Suora, preghi per me, perché, lei, il Signore l’ascolta. Non credo che il Signore ascolti me più di una qualsiasi altra persona. La preghiera dell’umile perfora le nubi e non c’è una corsia preferenziale per le suore. Ma siete persone normali! Come se ci si aspettasse che le suore fossero esseri strani. Avete sempre gli stessi orari? Normalmente sì, ma gli orari sono fatti per garantire i tempi di preghiera e lavoro in vista della missione, per cui se la missione ce lo chiede, non abbiamo problemi a cambiare le abitudini. Avete la tivù? Ne abbiamo una per tutte. Quando c’è qualche programma interessante lo segnaliamo, e chi vuole lo vede. Andate in vacanza! Le nostre regole sono molto sagge nell’indicarci l’opportunità di avere tempi di distensione, da alternare al lavoro. Un periodo di riposo durante l’anno fa bene al corpo e allo spirito. Naturalmente le nostre sono vacanze sobrie, vissute in altre case religiose o con i parenti: lo scopo è riposarsi, non viaggiare. State sempre nella stessa comunità? Io ho già cambiato due comunità e ogni anno sono pronta a muovermi di nuovo. Questi cambiamenti riservano la loro dose di sofferenza, ma ci ricordano che la nostra vita è in movimento. Come la prendono i genitori? Tendenzialmente male.
Ho visto compagne le cui mamme minacciavano il suicidio. E famiglie che non hanno mai fatto visita alla figlia. Capita che una suora ci ripensi? Tante le compagne di viaggio che ho visto andare via. Alcune nel periodo di formazione, o perché scelgono un istituto non adatto o, pur sentendosi chiamate, perché non riescono ad andare fino in fondo. Altre lasciano dopo la professione perpetua, perché si innamorano di qualcuno, e questo capita a ogni età, o per esasperazione: la vita di comunità è davvero difficile.
Il fatto che qualcuno se ne vada è il segno che ogni vita è un mistero….


Teresa la ribelle
Intervista a suor Teresa Forcades. La teologa benedettina cinquantenne, nata nella Barcellona più popolare e "atea", stupisce le donne per il suo pensiero controcorrente
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DI ELISABETTA MURITTI E GLORIA RIVA. TRADUZIONE DI CRISTINA GUARNIERI. FOTO DI IBOLYA FEHER
C’è una piccola ripresa di vocazioni femminili...
«In Spagna assistiamo a vocazioni tardive di donne istruite e indipendenti. E vocazioni di adolescenti, che entrano in monastero appena finito il liceo. I due casi vanno distinti con chiarezza. Sulle ragazze può pesare l’influenza di personalità carismatiche e movimenti (come quello neocatecumenale) che guardano al mondo secolare con superiorità e fanno della Chiesa (e degli affiliati) l’ avamposto di una crociata morale. Nelle vocazioni tardive come la mia (28 anni, in monastero a 30) coesistono varie ragioni, ma non c’è paura del mondo. Semmai la ricerca di uno spazio di libertà, a partire dal quale aiutare coloro che più soffrono e lottare contro l’ingiustizia».
Il Vaticano ha condotto una visita apostolica per indagare l’ortodossia delle suore Usa.
«Le religiose della Lcwr (Leadership Conference of Women Religious) rappresentano l’80% delle 56mila religiose Usa. Il modo in cui hanno risposto alla visita del cardinal Rodé è stato esemplare: hanno praticato “la resistenza costruttiva”, ovvero anziché cedere o opporsi hanno colto l’occasione per approfondire la comprensione di sé e della Chiesa, nonché i legami che uniscono le diverse comunità. Questo atteggiamento, né prepotente né sottomesso, è il principale contributo teorico che già offrono molti ordini femminili. E poi ci sono i contributi concreti: da anni molte suore rivedono storia e teologia a partire dalla prospettiva dell’uguaglianza di genere. Elisabeth Johnson esplora l’immaginario e il linguaggio femminili e la relazione tra teologia ed ecologia; Ivone Gebara è una teologa della liberazione, impegnata contro l’ingiustizia; Margaret Farley difende una teologia morale che separi la sessualità dal peccato e dalla colpa. Oggi è fondamentale una teologia queer: pensare la diversità sessuale a partire dalla prospettiva teologica e, da lì, sviluppare un’antropologia che promuova l’originalità di ciascun essere umano e della sua libertà. In prospettiva comunitaria: non si tratta di fortificare l’individualismo capitalista, bensì la solidarietà che ci fa felici. Sì, ho fiducia in questo momento vissuto dalla Chiesa, non tanto perché io speri in una soluzione da Papa Francesco, ma perché mi aspetto che lui lasci spazio alle proposte che vengono dal basso, dai margini».
Papa Francesco ha limitato il web nei monasteri.
«Raccomandare alle religiose contemplative e non ai religiosi contemplativi di limitare l’uso dei social network riflette un pregiudizio sessista ancora imperante nella Chiesa cattolica romana. Nel mio monastero il fatto non ha suscitato cambiamenti: si continuano a usare i social e si cerca come sempre di farne un uso responsabile».
A proposito di una teologia cattolica femminista: che cosa c’è all’orizzonte? Il sacerdozio femminile? La riformulazione della castità e dell’identità sessuale?
«C’è la coscienza che “il problema delle donne” non è stato ancora superato nella Chiesa e neppure nella società del XXI secolo. Nell’Europa del 2015 le donne percepiscono il 16% in meno dei salari rispetto agli uomini, a parità di lavoro: da qui viene tutto il resto. In che modo teologia e prassi ecclesiale continuano a contribuire allo sfruttamento delle donne? Perché la loro esclusione dalla rappresentatività liturgica e dal governo della Chiesa è ancora giustificata?».
Che cosa pensa del nuovo sessismo?
«La maggior parte delle donne, soprattutto se giovani, si sentono “donne” e diverse dall’“uomo”. Questa diversità di genere la sentono attraente; e non accettano che l’uomo o la società impongano loro qualcosa, come passare da un lavoro remunerato a uno non remunerato o vestirsi in un certo modo. Ma, eliminata l’imposizione, ci sono lo stesso molte donne che lasciano il lavoro dopo la nascita del primo figlio o si vestono sexy, anche se ciò implica scarpe fastidiose e chirurgia estetica. Credo, però, che tale modello patriarcale non sia la società che gli uomini impongono alle donne, bensì quella che uomini e donne costruiscono
 insieme quando non hanno il coraggio di essere queer, di sviluppare ognuno la propria originalità».
Ritornerà in convento?
«Il permesso di esclaustrazione finirà nell’agosto 2018. È mia intenzione rispettarlo».
(09 MARZO 2017)


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